
“impresa mafiosa” e necessità della correlazione gestionale tra immissione di capitali illeciti e attività aziendale ai fini della confisca
07 Aprile 2023 | evidenza
Il sistema di prevenzione patrimoniale sempre più a trazione giurisprudenziale, di Simona Giannetti
Questa volta è la giurisprudenza maturata nel processo penale che dà una “mano” alla lettura del disposto normativo di cui alla lett. a) dell’art. 4 del codice antimafia, e più segnatamente alla categoria criminologica dell’appartenenza mafiosa nella sua declinazione dell’impresa mafiosa.
Il concetto di “impresa mafiosa” è, com’è noto, un’acquisizione della giurisprudenza in ragione della traslazione della pericolosità sociale del proposto, derivante dalla sua appartenenza alle associazioni di cui alla lett. a) dell’art. 4, alle persone giuridiche dal medesimo controllate. Tant’è che nessuna norma di legge prevede la specifica categoria criminologica dell’impresa mafiosa.
Solo recentemente il decreto legislativo 159/2011, con l’introduzione del comma 1 bis all’art. 24, ha previsto espressamente l’estensione della confisca disposta per le quote sociali totalitarie a tutti beni costituiti in azienda ai sensi degli artt. 2555 e segg. codice civile, ma si tratta di una disciplina che attiene soltanto alle conseguenze ablative, e non già alla formazione degli elementi configuranti l’impresa mafiosa.
Così, la giurisprudenza di legittimità, nel rispetto delle garanzie di legalità del precetto di prevenzione, ha esteso il concetto di “appartenenza” a quelle imprese che, ancorché costituite in forma societaria, hanno esercitato l’attività aziendale avvalendosi della forza di intimidazione di un’associazione mafiosa e in cointeressenza con essa. In sostanza, secondo questo orientamento, soltanto nell’ipotesi di realtà aziendali nelle quali il consolidamento e l’espansione dell’attività imprenditoriale siano stati da sempre agevolati da un’organizzazione mafiosa, il carattere lecito dei capitali inizialmente investiti diviene irrilevante e tutto il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale ne sono contaminati, divenendo essi stessi parti dell’impresa mafiosa, come tali soggetti a confisca (Sez. 5, n. 16311 del 23/01/2014, Di Vincenzo e altri).
L’opera interpretativa di estensione della particolare categoria criminologica dell’appartenenza mafiosa del soggetto, ex lett. a) art. 4 alle società, – pur non strettamente aderente al testo di legge – è rimasta comunque nel perimetro di quella “base legale”. D’altro canto, l’esigenza di una lettura tassativizzante del precetto di prevenzione, a seguito della sentenza 24/2019 della Corte Costituzionale, ha maggiormente investito il “governo” della fattispecie di cui alla lett. a) dell’art. 4, che si rivolge, com’è noto, a quei soggetti indiziati dell’appartenenza alle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p., categoria giuridica quest’ultima ricomprendente anche quelle condotte che non costituiscono reato.
Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione ha affermato come in materia di prevenzione “il giudizio di appartenenza non può risolversi nell’area della mera contiguità o vicinanza al gruppo, che non sia riconducibile ad un’azione, ancorché isolata, che si caratterizzi per essere funzionale agli scopi associativi” (Sez. Un., 30 novembre 2017, n. 111, Gattuso). Ora, pur riguardando l’anzidetta sentenza del giudice delle leggi la diversa ipotesi di pericolosità sociale generica, non può revocarsi in dubbio come l’affermata soggiacenza del diritto di prevenzione al principio di legalità costituisca un presidio di garanzia anche per la fattispecie di pericolosità qualificata.
Del resto, sebbene non abbiano natura penale, sequestro e confisca di prevenzione restano misure che incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (art. 41 e 42 Cost.) e convenzionale 8 art. 1 Prot. 1 CEDU), esse debbono soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la Convenzione edu subordinando la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione alla sua previsione legale che possa consentire ai propri destinatari, in conformità alla costante giurisprudenza della CEDU sui requisiti di qualità della base legale della restrizione, e di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure.
Tradizionamente, l’elaborazione giurisprudenziale del codice delle misure di prevenzione, notoriamente materia che il legislatore ha espressamente delegato all’opera tassativizzante del giudice, ha influenzato anche la lettura dell’art. 416 bis c.p.p. in relazione al sequestro dell’impresa nella disponibilità dell’indagato. Ma, un recente approdo della Corte di Cassazione (Cassazione penale sez. V, 05/07/2022, n.34800) in materia di sequestro preventivo di cui al comma 7 dell’art. 416 bis c.p. sembra adesso fornire un nuovo “cono di luce” al procedimento di prevenzione.
Si è affermato, infatti, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca può avere ad oggetto un’intera impresa, allorché questa sia qualificabile come mafiosa, e cioè, quando vi sia totale sovrapposizione tra le compagini associativa e criminale, ovvero quando l’intera attività d’impresa sia inquinata da risorse di provenienza delittuosa che abbiano determinato una contaminazione irreversibile dell’accumulo di ricchezza, rendendo impossibile la distinzione tra capitali leciti ed illeciti, o, infine, quando l’impresa sia asservita al controllo della consorteria, condividendone progetti e dinamiche e divenendone lo strumento operativo, con conseguente commistione tra le attività d’impresa e mafiosa (Sez. 1, n. 13043 del 04/12/2019 Rv. 278891, Sez. 6, n. 21741 del 16.02.2021, Rv. 281516).
In altre parole, ai fini del sequestro funzionale alla confisca del patrimonio di un’azienda amministrata da un soggetto indagato del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, occorre dimostrare una correlazione, specifica e concreta, tra la gestione dell’impresa alla quale appartengono i beni da sequestrare e le attività riconducibili all’ipotizzato sodalizio criminale, non essendo sufficiente, di per sé, il riferimento alla sola circostanza che il soggetto eserciti le funzioni di amministrazione della società (Sez. 6, n. 6766 del 24/01/2014, Rv. 259073), ovvero la mera partecip’azione al sodalizio criminale dell’amministratore (Sez. 6, n. 21741 del 16/02/2021, Rv. 281516).
Senza considerare, poi, che l’indagine sul nesso di strumentalità si pone, ovviamente, su un piano diverso, nel caso in cui il soggetto nei cui confronti viene disposto il sequestro sia indagato, non di partecipazione al sodalizio mafioso, ma quale concorrente esterno. Invero, la partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno costituiscono fenomeni alternativi fra loro, in quanto la condotta associativa implica la conclusione di un “pactum sceleris” fra il singolo e l’organizzazione criminale, in forza del quale il primo rimane stabilmente a disposizione della seconda per il perseguimento dello scopo sociale, con la volontà di appartenere al gruppo, e l’organizzazione lo riconosce ed include nella propria struttura, anche “per facta concludentia” e senza necessità di manifestazioni formali o rituali, mentre il concorrente esterno è estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione, ovvero di un suo particolare settore di attività o articolazione territoriale, e diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima. (Sez. 6, n. 16958 dell’08/01/2014, Rv. 261475). Con specifico riguardo ai figli dell’imprenditore, è stato ritenuto integrare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, la condotta dell’imprenditore “colluso”, che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, instauri con questo un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e nel far ottenere all’organizzazione risorse, servizi o utilità, mentre si configura il reato di partecipazione all’associazione nel caso in cui l’imprenditore metta consapevolmente la propria impresa a disposizione del sodalizio, di cui condivide metodi e obiettivi, onde rafforzarne il potere economico sul territorio di riferimento. (Sez. 6, n. 32384 del 27/03/2019 Rv. 276474).
In tale contesto, dunque, nel caso di concorso esterno, occorre verificare in che termini l’impresa di un soggetto non inserito nella compagine associativa, ma che fornisca un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione si rapporti alla necessità, sopra evidenziata, che ai fini del sequestro ex art. 416 bis c.p., comma 7, l’impresa stessa sia qualificabile come mafiosa, con totale sovrapposizione tra le compagini associativa e criminale.