
l’appartenenza all’associazione mafiosa richiede la prova del contributo causale alla vita del sodalizio criminale
24 Luglio 2020 | news
[di Laura Ancona]
Nota alla sentenza num. 21524 del 2020 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione
Nel caso in esame la Corte di Cassazione ha chiarito come il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione ai sensi dell’art. 4 lett. a) digs. n. 159 del 2011, comprenda la condotta che, sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale, ovvero di forme di “collateralità che non si sostanzi in sintomi di un apporto individuabile alla vita della compagine” (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512).
La sentenza mette un “argine” all’eccessiva dilatazione della categoria criminologica di cui alla lett. a) dell’art 4 del codice antimafia ove si fa riferimento, non già agli indizi di un determinato delitto, i cui connotati materiali e soggetti sono già ben descritte dalle pertinenti fattispecie legali
Piuttosto, la norma esposta nell’art. 4 fa riferimento ad una categoria giuridica del tutto nuova, una fattispecie non codificata dal codice penale come reato, ovvero l’appartenenza all’associazione mafiosa non costituente, da sola, il reato di cui all’art 416 bis c.p.
Si tratta di una diversa metodologia di codificazione della fattispecie legale per la quale, dunque, non può farsi ricorso alla tassativa descrizione del legislatore penale. Ed in effetti, l’indeterminatezza della fattispecie legale ha generato una, parimenti, indeterminata giurisprudenza che di fatto ha reso inafferrabile lo stesso provetto di legge, con evidente compromissione del principio di legalità protetto dall’art. 7 della Cedu.
Nel caso in questione, la Corte di Cassazione ha annullato il decreto della Corte di Appello di Catania che non era riuscita a spiegare in che modo le connessioni imprenditoriale del proposto con gli interessi della criminalità mafiosa locale avessero potuto offrire un concreto contributo causale alla vita dell’associazione stessa. La decisione della corte territoriale era in realtà molto generica ove faceva riferimento a mere contiguità del proposto con esponenti mafiosi, e a ben vedere si poneva in evidente violazione con il principio convenzionale di cui all’art. 1 laddove consente la confisca solo “nelle condizioni previste dalla legge” e quindi nel rispetto del principio di legalità che richiede non solo l’esistenza di norme di diritto interno che legittimano l‘ingerenza nel diritto di proprietà, ma la conformità a tali norme del provvedimento concreto (Caso Lavrechoc v. the Czech Republic, Application n. 57404/08, 20 june 2013, § “The Court reiterates that in order for an interference to be compatible with that provision it must be lawful”); la nozione di legge, poi, deve essere considerata in senso sostanziale, come comprensivo del diritto di origine sia legislativo sia giurisprudenziale (cfr. Corte eur. dei dir. dell’uomo, 20 gennaio 2009, Sud Fondi Srl e Altre 2 c. Italia, n. 75909/01, con riferimento all’art. 7 ma la Corte ha precisato che la nozione di legge utilizzata nell’art. 7 corrisponde a quella contenuta negli altri articoli della Convenzione). “When speaking of “law” Article 7 alludes to the very same concept as that to which the Convention refers elsewhere when using that term, a concept which comprises statutes as well as bylaws and case-law and implies qualitative requirements, including those of accessibility and foreseeability” (C. edu, 25 ottobre 2013, Khodorkovskiy and Lebedev v. Russia, Applications nos. 11082/06 and 13772/05, § 779).
Il giudizio di pericolosità mafiosa nei confronti del proposto è apparso, dunque, privo del necessario requisito della concretezza, meramente congetturale, sicchè la conseguente confisca delle sue proprietà era una palese violazione del l’art. 1 del I° Protocollo perché applicata al di fuori dei presupposti stabiliti dalla legge, rappresentando un’applicazione “manifestamente erronea ed arbitraria” (LAVRECHOV v. THE CZECH REPUBLIC, Application no. 57404/08, 20June 2013, § 45).Di fatto, il decreto esprimeva un mero pregiudizio di ordine morale nei confronti del proposto, in ragione delle supposte cointeressenze imprenditoriali del medesimo con gli interessi del sodalizio, senza specificare tuttavia quali condotte abbiano, in effetti, avuto un’attitudine, anche solo astratta, all’attività del sodalizio mafioso. Peraltro, la decisione della corte di appello di Catania si poneva in evidente contrasto con la giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione che, nella sentenza nr. 65 del 19.12.2012, CINA’, aveva affermato il principio secondo cui ai fini dell’ablazione non è sufficiente affermare che il proposto sia un imprenditore mafioso, piuttosto è necessario che abbia sfruttato la sua qualità mafiosa per crearsi condizioni di mercato favorevoli (cfr“…..secondo lo statuto probatorio del procedimento di prevenzione sia necessario che l’azienda sia frutto di attività illecita, o che l’impresa si sia concretamente avvalsa, nello svolgimento della sua attività, delle aderenze mafiose del titolare. – Più in particolare, occorre, quantomeno a livello indiziario, la prova: a) che l’acquisto originario sia stato reso possibile dall’attività illecita dell’acquirente, in qualunque modo espletata (mediante estorsioni, truffe, usura ed altri illeciti), pur senza pretendere la prova di un diretto collegamento, sotto forma di nesso causale tra attività illecita e acquisizione patrimoniale; b) che la crescita e l’accumulo di ricchezza da parte dell’impresa sia stata concretamente agevolata attività illecita del titolare “appartenente alla mafia”).