
il principio di legalità “vincola” anche il giudicato di prevenzione: la corte di cassazione cambia rotta e ammette la verifica ex tunc
31 Dicembre 2020 | news
Nota alla sentenza n. 33641 del 13.10.2020 della seconda sezione della Cassazione sulla revocazione del decreto di confisca
La decisione in esame ha annullato il decreto della Corte di Appello di Potenza del 4.12.2019 che aveva respinto la richiesta di revocazione, con effetti ex tunc, di un decreto di confisca che si assumeva adottato in difetto dei presupposti di legge, così come definiti in via interpretativa dalla Corte Costituzionale con la sentenza 24/2019. L’anzidetta sentenza della Corte Costituzionale se, per un verso, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del disposto di cui alla lettera a) dell’art. 1 del codice delle misure di prevenzione (coloro che debbano ritenersi sulla base di elementi di fatto abitualmente dediti a traffici delittuosi), per altro verso, ha salvato dai fulmini di incostituzionalità il disposto normativo di cui alla lettera b) del medesimo articolo ( coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi sulla base di elementi di fatto che vivono abitualmente, anche in parte, dei proventi di attività delittuose).
Proprio in ordine al disposto di cui alla lettera b), il dictum del giudice delle leggi ha natura di sentenza interpretativa di rigetto, sicchè le argomentazioni svolte in essa, lungi dal costituire un mero precedente giurisprudenziale, costituiscono un vero e proprio “limite interpretativo” che orienta il giudice di merito, anche, erga alios. Il tema che investiva la Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, riguardava, infatti, la possibilità di rivedere il decreto di confisca, già irrevocabile prima della pronuncia della sentenza 24/2019 della Consulta, sì da legittimare l’attivazione dello strumento revocatorio ex art. 28.
Va premesso, così come ricorda la Cassazione, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24/2019, ha ritenuto come il disposto di cui alla lettera b) dell’art. 1, di cui si è detto, potesse ritenersi rispettoso del principio di legalità solo se interpretato nei limiti dello stesso dictum: “Le “categorie di delitto” che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtù del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi «elementi di fatto», di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione (art. 13, secondo comma, Cost.) – per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito.”.
Pertanto, “solo la compresenza dei predetti tre requisiti rende legittima la misura di prevenzione patrimoniale nei confronti dei c.d. pericolosi generici di cui alla lett. b) dell’art. 1 D.Lvo 159 del 2011, così che l’ablazione patrimoniale si giustificherà se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s’intendono confiscare, e la cui origine lecita egli non sia in grado di giustificare”, principio quest’ultimo, come ricorda la stessa Corte, di cui è già stata data conforme e plurima applicazione nelle pronunce di legittimità aventi ad oggetto sia misure personali che misure patrimoniali (Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, Rv. 275827; Sez. 2, n. 12001 del 15/01/2020, Rv. 278681).
Tale interpretazione della fattispecie permette di ritenere soddisfatte le esigenze di precisione imposte tanto dall’art. 13 Cost., quanto, in riferimento all’art. 117, comma primo, Cost., dall’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU per ciò che concerne le misure di prevenzione personali, sia quelle imposte dall’art. 42 Cost. e, in riferimento all’art. 117, comma primo, Cost., dall’art. 1 del Prot. addiz. CEDU per ciò che concerne le misure patrimoniali del sequestro e della confisca.
Il prezioso insegnamento che discende dalla sentenza della Consulta n. 24/2019, in sintonia con quanto affermato dalla Corte EDU con la sentenza De Tommaso, risiede nell’aver fatto chiarezza sulla proiezione temporale dei requisiti di conoscibilità e prevedibilità che le norme dettate in materia debbano possedere, affinché le persone potenzialmente destinatarie delle misure limitative di diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati, possano essere messe in condizione di poter ragionevolmente prevedere con anticipo in quali «casi» -oltre che in quali «modi»- esse potranno essere sottoposte sia alla misura di prevenzione personale, sia alla misura di prevenzione patrimoniale del sequestro e della confisca, al fine di regolare di conseguenza la propria condotta.
In applicazione di tali principi, pertanto, la Corte di Cassazione ha rilevato l’omissione del giudice àdito per la revocazione assumendo che “nel caso in esame, i giudici della domanda di revocazione non hanno in alcun modo precisato la sussistenza dei predetti presupposti, non avendo chiarito se, a seguito della esclusione della categoria di cui alla lettera a) dell’art. 1, (S.) potesse essere fatto rientrare nei soggetti di cui alla lettera b), così come interpretati dalla stessa sentenza n.24 della Corte Costituzionale”, conseguentemente, non avrebbero potuto dichiarare inammissibile il ricorso alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019, posto che proprio detta sentenza doveva, invece, costituire parametro obbligatorio di riferimento anche per il giudice della revocazione.
Tantomeno la Corte potentina avrebbe potuto ritenere infondato il ricorso al rimedio straordinario della revocazione di cui all’art. 28 D. lgs. 159/2011, che costituisce il “punto di raccordo” per armonizzare l’ordinamento interno con le norme pattizie.
La Corte EDU da tempo ritiene, con giurisprudenza ormai costante, che l’obbligo di conformarsi alle proprie sentenze definitive, sancito a carico delle Parti contraenti dall’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione, comporti anche l’impegno degli Stati contraenti a rimettere in discussione il giudicato e permettere la riapertura dei processi, su richiesta dell’interessato, quante volte essa appaia necessaria ai fini della restitutio in integrum in favore del medesimo, ponendo “il ricorrente, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non vi fosse stata una inosservanza […] della Convenzione” (ex plurimis, Grande Camera, sentenza 17.09.2009, Scoppola c. Italia, punto 151; sentenza 10.11.2004, Sejdovic c. Italia, punto 55; sentenza 18.05.2004, Somogyi c. Italia, punto 86; Corte Cost. n. 113/2011).
In materia di misure di prevenzione, lo strumento per rimettere in discussione il giudicato e consentire la restitutio in integrum dell’interessato è prevista dall’art. 28 D. lgs. 159/2011 che, al comma secondo, consente di domandare la revocazione della confisca, “al sol fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura”.
La Cassazione, con la sentenza in commento, ribadisce e conferma che l’istituto della revocazione della confisca definitiva – di cui al citato art. 28 D.lgs. n.159/2011 – è una ipotesi «speciale» di revisione che, partendo dall’ineludibile principio di “rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (Sez. U, n. 57 del 19/12/2006, Rv. 234955)”, costituisce ora l’approdo per adeguare la disposta misura definitiva alla interpretazione data dalla CEDU, all’uopo richiamando Sez. 1, n. 40765 del 13/06/2018, Rv. 273968, nella quale si era già affermato che: “La disciplina vigente in tema di misure patrimoniali prevede, come è noto, l’istituto della revocazione della confisca (art. 28), nel cui ambito – nonostante la mancata previsione di un caso ad hoc – è da ritenersi possibile collocare il potere di valutare le ricadute di una decisione emessa dalla Corte Edu che abbia accertato una rilevante violazione di uno dei principi della Convenzione Edu (v. Corte Cost. 113 del 2011, sentenza additiva rispetto alla disciplina della revisione comune su cui è modellato l’istituto)”.Appare evidente la portata additiva della sentenza in commento, capace di rammentare anche ai più distratti (!) che la revoca ex art.28 è suscettibile di interessare tutte le misure di prevenzione (personali e/o patrimoniali), quand’anche coperte da precedente giudicato, applicate nei confronti soggetti ritenuti appartenenti alla categoria di cui alle lett. a) e b) dell’art. 1 D. Lgs. 159 del 2011 precedentemente alla sentenza Cost. n. 24/2019, in quanto prive di “idonea base legale”, individuata (per quanto attiene alla categoria di cui alla lett. b) soltanto con la decisione da ultimo citata.
di Carlino Carrieri