
l’equilibrio precario delle interdittive antimafia tra esigenza preventiva e il diritto al lavoro
14 Novembre 2020 | news
Nota all’ordinanza del T.A.R. Calabria del 11.12.2020 sul presunto contrasto dell’art. 67 con gli artt. 3,, 4 e 24 Cost., di Maria Cristina Grillo
Segnaliamo l’Ordinanza con cui il T.A.R. per la Calabria ha sollevato, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 4 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 92 del D.lgs 159/2011, nella parte in cui non prevede la possibilità di escludere le decadenze e i divieti di cui all’art. 67, comma 5, del codice antimafia, nel caso in cui, per effetto degli stessi, verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato ed alla sua famiglia. Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata crea un’irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di una misura di prevenzione e quelli attinti da informazione antimafia interdittiva, posto che, solo per i primi, il comma 5 dell’art. 67 in parola, prevede che “le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per affetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla famiglia”. Difatti, in materia di intedditive antimafia è preclusa al prefetto, a differenza di quanto può fare il tribunale in sede di prevenzione, la possibilità di escludere le decadenze e i divieti previsti, nel caso in cui, per effetto degli stessi, verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato ed alla sua famiglia, colpita dalla citata misura.
Il collegio ha reputato la questione dedotta rilevante e non manifestamente infondata, poiché la ricorrente ha evidenziato che l’attività aziendale costituisce l’unica forma di reddito della propria famiglia e che, in mancanza di essa, non avrebbe la possibilità di mantenere i figli conviventi, di cui tre minori, e si profilerebbe, inoltre, la indifferibile necessità di licenziare gli otto dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato.
La quaestio legitimitatis, sollevata dal giudice a quo, invoca la necessità di un giudizio di ragionevolezza sullo stato della legislazione e la ricerca di un punto di equilibrio tra interessi contrapposti: la necessità della lotta alla criminalità organizzata e la tutela di diritti costituzionalmente protetti. Il giudice amministrativo ha dubitato, con il provvedimento in commento, della compatibilità dell’art. 92 d.lgs 159/2011 con i diritti fondamentali previsti agli artt. 3, 4 e 24 della nostra Costituzione. In particolare, con riguardo alla ritenuta violazione dell’art. 3 della Costituzione, il giudice a quo ha evidenziato che la ragionevolezza delle leggi è corollario del principio di uguaglianza ed esige, pertanto, che le disposizioni normative contenute in atti aventi forza di legge siano adeguate, o congruenti, rispetto al fine perseguito dal legislatore, con la conseguenza che sussiste la violazione di tale principio laddove, come nel caso in esame, pare possibile riscontrare una contraddizione tra disposizioni legislative ispirate alla tutela del medesimo interesse pubblico. Pienamente condivisibili appaiono, inoltre, le argomentazioni spese dal T.A.R., nel provvedimento in esame, in ordine alla ritenuta violazione dell’art. 4 della Costituzione, laddove gli effetti inibitori di un’informazione interdittiva incidono sul fondamentale diritto al lavoro. Il collegio ha osservato come il diritto al lavoro costituisce un diritto fondamentale di tutti i cittadini, compresi i detenuti, e, a fortiori, lo si deve ritenere tale, per soggetti colpiti da un provvedimento di natura cautelare e preventiva, finalizzato a prevenire, giustappunto, un evento potenziale, emesso da un’autorità amministrativa sulla base della regola causale del “più probabile che non”. Atteso che i provvedimenti in esame possono incidere sul diritto al lavoro dei loro destinatari, allora si dovrebbe assicurare a questi ultimi che l’autorità prefettizia, a ciò deputata, valuti se l’adozione dell’informazione antimafia non pregiudichi irrimediabilmente le condizioni economiche dei destinatari.
In ultimo, il giudice ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 92 del codice antimafia, per violazione del diritto di cui all’art. 24 della Costituzione, il quale tutela il prezioso diritto alla difesa. Infatti, alla luce delle anzidette gravose conseguenze economiche che gravano sugli operatori, raggiunti dall’interdittiva, in termini di depauperamento dei propri mezzi di sostentamento, il giudice rimettente ha opportunamente sollevato la violazione del diritto alla difesa, sospendendone il giudizio e ordinando la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
I dubbi di costituzionalità sollevati potrebbero trovare terreno fertile giacché, recentemente, il Giudice delle Leggi, ha palesato una certa sensibilità rispetto a tale argomento con la sentenza n. 57 del 2020, nella quale, pur dichiarando che l’informazione antimafia interdittiva non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata, ha tuttavia ha mostrato un’apertura in ordine al vulnus che il regime delle interdittive sconta rispetto a quello delle misure di prevenzione. Difatti, nella citata sentenza, la Corte Costituzionale ha evidenziato un profilo di evidente disuguaglianza fra la disciplina delle informative e quella delle misure di prevenzione, entrambe limitative di importanti diritti seppur con diverse garanzie. Sul punto, negli ultimi tempi, si è registrato, a beneficio del sistema di prevenzione, un diverso paradigma interpretativo con la nota sentenza De Tommaso della CEDU del 2017 e con la pronuncia n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale; ciò, invero, non è accaduto per la normativa sulle interdittive antimafia, le quali invece rimangono, allo stato, prive di presidi garantistici, pur mantenendo il medesimo carico afflittivo delle misure di prevenzione.
Si ritiene che l’ordinanza in commento, in una questione così spinosa, rappresenti un pronunciamento assolutamente degno di nota, che s’innesta nel solco di quella giurisprudenza che postula un corretto bilanciamento tra valori costituzionali di pari rango, e ci si auspica, infine, che l’intervento della Corte non si sostanzi in un ulteriore occasione perduta.