
controllo giudiziario – rapporti parentela con soggetti mafiosi – insufficienza – necessaria influenza esterna
12 Marzo 2023 | Diritto Contemporaneo, Giurisprudenza di Legittimità
Corte di Cassazione, Sez. I, 23 novembre 2022 (dep. 11 aprile 2023), n. 15156, Pres Boni, Est. Magi
I legami familiari di soci o amministratori con soggetti legati alla criminalità organizzata non rendono di per sé l’impresa irredimibile, conseguentemente, esclude che questa circostanza possa da sola giustificare il rigetto della richiesta di applicazione della misura.
Com’è ormai noto, l’introduzione dell’istituto del controllo giudiziario nel sistema del Codice antimafia – insieme alla riforma dell’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 Cod. Ant. – è il frutto di una moderna concezione delle misure di prevenzione patrimoniali, orientata principalmente a soddisfare l’esigenza di “bonificare” le imprese dal condizionamento criminale col minor sacrificio possibile della libertà di impresa . Tuttavia, questo cambio di paradigma non è stato immediatamente colto dalla giurisprudenza, specie quella di legittimità, che anzi nella primissima fase applicativa del nuovo istituto sembrava voler ripiegare su interpretazioni restrittive che in qualche modo finivano col limitarne l’operatività, stentando a leggere la proiezione prospettica che invece il legislatore aveva inteso imprimere al nuovo sistema delle misure di prevenzione patrimoniali. Se si eccettua un isolato precedente del 2019, è con l’intervento della Cassazione riunita che si è fatta strada l’idea secondo cui lo scopo delle misure cosiddette «diverse dalla confisca» è rappresentato dalla sottrazione dell’impresa al condizionamento criminale e ha alla base una valutazione a carattere prognostico intorno alle concrete possibilità che la singola realtàaziendale ha «di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata». E la giurisprudenza successiva ha ulteriormente specificato come la necessità che la valutazione relativa alla sussistenza o meno di un’infiltrazione connotata da occasionalità non debba essere finalizzata all’acquisizione di un «dato statico consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente»: Piuttosto che una «mera fotografia del passato» al Tribunale della prevenzione è richiesta l’«argomentata formulazione di un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, mediante l’intera gamma di strumenti previsti dall’art. 34 bis».
È su questo solco che si colloca la pronuncia qui in rassegna, nella quale però si scorgono anche significativi elementi di novità, specie con riferimento al significato da assegnare al requisito della occasionalità della contaminazione criminale nelle ipotesi di controllo c.d. “volontario” di cui al sesto comma dell’art. 34 bis Cod. ant.. La Cassazione muove a tal proposito dalla constatazione che il controllo delle aziende «su domanda» costituisce, nell’ambito delle misure a carattere recuperatorio, una «ulteriore sottopartizione con caratteri peculiari» i cui meccanismi di attivazione non possono tout court essere ricalcati su quelli previsti per il controllo giudiziario c.d. prescrittivo, poiché , come già era stato osservato in una precedente pronuncia le cui cadenze argomentative sono state pedissequamente riproposte nella pronuncia in rassegna, una «lettura ancillare del sesto comma dell’art. 34 bis rispetto alla previsione del primo comma mortificherebbe la ratio dell’istituto, restringendone la portata e riconducendolo ad un modello non conforme allo spirito della riforma».
Così, muovendo da simili premesse, nel tratteggiare lo statuto differenziato del controllo giudiziario “volontario” i giudici della sesta sezione si smarcano dal riferimento “statico” alla nozione di contaminazione occasionale, ma affermano che una condizione di agevolazione anche «perdurante» dell’impresa a vantaggio di organizzazioni di stampo mafioso non necessariamente costituisce un ostacolo all’accoglimento della richiesta avanzata della parte privata ma diviene fattore ostativo «se ed in quanto tale condizione […] renda negativa la prognosi di ‘riallineamento’ dell’impresa a condizioni operative di legalità e competitività». Una tale impostazione ermeneutica, ritenuta dalla Corte il conseguente sviluppo degli insegnamenti delle Sezioni unite Ricchiuto, è in effetti quella più coerente con la ratio complessiva di un istituto concepito per salvaguardare la continuità aziendale. Già all’indomani della riforma, una parte della dottrina aveva infatti opportunamente ritenuto che la verifica dei “presupposti” postulata dalla legge andasse «calibrata su una valutazione che abbia il suo fulcro nella praticabilità di un programma di “bonifica” dell’azienda istante, ossia un programma volto a rendere l’ente economico sufficientemente presidiato dal rischio di infiltrazioni mafiose. […] E così, non va escluso a priori che in una situazione in cui è stata rilevata una forma di “agevolazione stabile”, l’azienda si presenti tuttavia potenzialmente in grado di liberarsi dalla commistione di interessi mafiosi».
E del resto, come specificato dalla stessa sentenza qui analizzata, il controllo giudiziario non va interpretato come un «beneficio» concesso alle imprese per sottrarsi agli effetti interdittivi dei provvedimenti prefettizi, poiché esso espone gli istanti a penetranti controlli sulla gestione e di verifica dei flussi di finanziamento da parte del Tribunale che potrebbero addirittura sfociare nell’applicazione di misure più pervasive e penetranti come l’amministrazione giudiziaria o, se del caso, condurre financo al sequestro e alla confisca. È dunque ragionevole che la concessione del controllo giudiziario “volontario” poggi su presupposti differenti rispetto a quelli previsti dal primo comma dell’art. 34 bis e sia piuttosto ancorata esclusivamente alla prognosi di bonificabilità dell’impresa, anche in assenza di uno spossessamento gestorio. Provando a esplicitare e sviluppare il pensiero della Corte, quindi, la richiesta della parte privata andrebbe sempre accolta nei casi in cui il condizionamento criminale sulla vita dell’impresa potrà essere eliminato senza allontanare l’imprenditore dalla gestione, ma solo affiancandolo; se invece le valutazioni del Tribunale fossero nel senso di escludere la possibilità di raggiungere quest’obiettivo, l’istanza non dovrebbe trovare accoglimento e potrebbero schiudersi le porte a misure più incisive e penetranti.
Richiamandosi ai principi garantistici e di stretta legalità la Corte esclude che la mera esistenza di rapporti di familiarità con persone legate alla criminalità organizzata determini di per sé uno stabile condizionamento dell’attività di impresa ed afferma anzi che «l’equazione tra rapporto familiare e comunanza degli interessi economici, in assenza di indicatori di conferma, ammette deroghe e finisce col risultare meramente congetturale». A tal proposito i giudici propongono una lettura del sistema di prevenzione orientata a criteri tassativi e argomentano quindi che la sola relazione da cui la legge fa discendere restrizioni o limitazioni per i familiari ex art. 67 co. 4, Cod. ant., è quella con i familiari conviventi. In tutti gli altri casi la contiguità familiare con un soggetto collegato ad organizzazioni di tipo mafioso non può da sola essere ritenuta sintomatica di una qualche forma di condizionamento criminale. Sicché, per l’applicazione di una misura di prevenzione è sempre necessaria una «verifica in concreto della ‘influenza’ del soggetto pericoloso sull’attività economica, nell’ambito di una procedura basata su fonti cognitive specifiche».
Si tratta di una presa di posizione ancora ben lungi dal costituire un punto di vista consolidato, ma non inedita e che probabilmente andrebbe valorizzata non solo nell’ambito della prevenzione giurisdizionale ma anche sul versante della prevenzione amministrativa, specie da quando il legislatore, nel 2021, ha arricchito lo strumentario prefettizio con istituti nuovi ispirati a una logica collaborativa e recuperatoria come le nuove misure di cui all’art. 94 bis Cod. ant., e il contraddittorio nella fase precedente l’adozione di provvedimenti interdittivi.