
l’equilibrio precario del diritto di prevenzione dopo la sentenza de tommaso
29 Settembre 2018 | Diritto europeo, news
La sentenza resa il 23.02.2017 dalla Grande Camera, nel caso di De Tommaso c. Italia (ricorso n. 43395/09) infligge un duro colpo al sistema normativo che disciplina le misure di prevenzione personali.
La decisione della Corte EDU riguarda la pericolosità c.d. generica, ma i principi espressi in essa hanno a nostro avviso una portata ben più ampia, e minano le basi costituzionali anche della previsione normativa avente ad oggetto la c.d. pericolosità sociale qualificata.
Con la detta sentenza, la CEDU fra l’altro ha stabilito, all’unanimità, che vi era stata una violazione dell’articolo 2, del Protocollo n. 4 (in ordine alla libertà di movimento) della Convenzione a causa de genericità della legge in materia.
Il caso in questione concerne le misure di prevenzione imposte per una durata di due anni al ricorrente, che ha lamentato una violazione dell’articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), e dell’articolo 6 § 1 (diritto ad un equo processo) e dell’articolo 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione e all’articolo 2 del protocollo n. 4 (in ordine alla libertà di movimento).
La Corte ha rilevato, in primo luogo, che gli obblighi imposti al Sig. De Tommaso non erano equiparabili ad una privazione della libertà ai sensi dell’articolo 5§1 della Convenzione, ma concernono restrizioni alla libertà di movimento.
Fra le diverse statuizioni contenute nella citata sentenza – quali il diritto effettivo al ricorso da parte del proposto e la pubblicità delle udienze – la pronuncia assume importanza centrale laddove ha dichiarato che la legge vigente in materia lascia al Giudice un ampio potere discrezionale senza fornire una sufficientemente chiara indicazione della portata o delle modalità di esercizio di tale potere.
L’imposizione di misure di prevenzione non era stata sufficientemente dettagliata e non era stata accompagnata da adeguate misure contro possibili abusi. Essendo stata formulata in termini vaghi e troppo ampi, la legge non ha soddisfatto i requisiti di specificità stabiliti dalla giurisprudenza della Corte.
In particolare,
esaminando se gli effetti della legge erano prevedibili in termini di individuabilità dei soggetti attingibili dalle misure di prevenzione, la Corte ha osservato che l’imposizione di tali misure è rimasta legata ad una analisi prospettica demandata ai giudici nazionali, dal momento che né la legge né la Corte costituzionale hanno identificato con chiarezza gli “elementi di fatto” o gli specifici tipi di comportamenti che dovevano essere presi in considerazione nella valutazione della pericolosità sociale del proposto al fine dell’adozione delle misure di prevenzione.
La Corte ha pertanto ritenuto come la legge non contenga norme sufficientemente dettagliate per l’ individuazione dei tipi di comportamenti idonei a rappresentare la pericolosità sociale del proposto.
Ha rilevato che il Tribunale aveva basato la propria decisione sull’esistenza di tendenze criminali “attuali” da parte del Sig. De Tommaso, pur senza attribuire alcun comportamento specifico o di rilevanza penale alla condotta ascrittagli. Inoltre, come motivo legittimante l’adozione della misura il Tribunale aveva addotto la circostanza che il Sig. De Tommaso non aveva una “occupazione stabile e lecita” e che la sua vita era caratterizzata dalla stabile frequentazione di criminali di primo piano e dalla commissione di reati. In altre parole, la Corte aveva basato il suo ragionamento sull’ipotesi di “tendenze criminali”, sebbene tale criterio fosse stato già ritenuto dalla Corte Costituzionale insufficiente per definire una specifica categoria di individui.
La Corte ha quindi ritenuto che, poiché la legge in vigore all’epoca dei fatti non aveva fornito una chiara indicazione della portata o delle modalità di esercizio dell’ampia discrezionalità conferita ai Giudici nazionali, non era idonea a offrire una protezione contro le interferenze arbitrarie e a consentire al Sig. De Tommaso di adeguare la propria condotta al fine di prevedere con sufficiente grado di certezza l’imposizione delle misure di prevenzione.
Per quanto riguarda le misure imposte al Sig. De Tommaso, la Corte ha osservato che alcune di esse erano formulate in termini molto generici e che le prescrizioni erano estremamente vaghe e indeterminate; in particolare con riferimento all’obbligo di “condurre una vita onesta e rispettosa della legge ” e di “non dare motivo di sospetto”. E ‘stato quindi impossibile per il Sig. De Tommaso verificare la effettiva portata delle prescrizioni imposte con la sorveglianza speciale.
La Corte ha ritenuto che la legge n. 1423/1956 aveva lasciato al Giudice un ampio potere discrezionale senza indicare con sufficiente chiarezza la portata di tale discrezionalità e le modalità del suo esercizio.
Di conseguenza, la imposizione di misure di prevenzione nei confronti del Sig. De Tommaso non era stata sufficientemente prevedibile e non era stata accompagnata da adeguate salvaguardie contro i vari abusi possibili.
La Corte ha così scoperto che la legge era stata formulata in termini vaghi e troppo ampi e non soddisfaceva i requisiti sanciti dalla giurisprudenza della Corte in ordine alla prevedibilità della misura.
La norma inoltre non aveva identificato con precisione e chiarezza né i soggetti nei confronti dei quali le misure potevano essere adottate né il contenuto di alcune prescrizioni. La Corte ha concluso che la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di dimora disposta nei confronti del Sig. De Tommaso non era sta resa sulla scorta di una legge conforme ai requisiti dettati dalla CEDU e che quindi vi era stata una violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4 della Convenzione per l’assenza di prevedibilità della legge.
Ora, proprio il rilevamento da parte di un decifit di determinatezza della norma, in merito agli elementi di fatto cui legare il giudizio di pericolosità, impone alcune considerazioni anche in relazione alla fattispecie di cui all’art. 4 lettera a) del decreto legislativo 159/2011, ovvero alla categoria criminogena dell’appartenenza ad una associazione mafiosa, con evidente incidenza sul principio di legalità.
Ed infatti, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si è ritenuto, quale condizione legittimante l’applicazione della misura, rilevanti anche condotte non connotate dal vincolo stabile, ma astrattamente inquadrabili nella figura del concorso esterno di cui agli articoli 110 e 416 bis c.p., per definizione caratterizzata da una collaborazione occasionale, espressa in unico o diluito contesto temporale, che si realizza con riferimento a circoscritte esigenze del gruppo, in correlazione con la loro insorgenza, ed e’ quindi ontologicamente priva della connotazione tipica della condotta partecipativa, costituita dallo stabile inserimento nell’organizzazione criminale con caratteristica di spiccata e persistente pericolosità, derivante dalla connotazione strutturale, mentre risulta estranea a tale concetto la mera collateralità che non si sostanzi in sintomi di un apporto individuabile alla vita della compagine (per una specifica disamina sul punto Sez. 1, n. 54119 del 14/06/2017, Sottile).
Si tratta, all’evidenza, di un perimetro valutativo, quello della condizione legittimante l’applicazione della misura, che trae dal concetto di concorso esterno – categoria giuridica tutt’altro che certa nei suoi connotati fattuali- gli elementi di una non definita contiguità.
Non sfugge, allora, l’indeterminatezza del precetto, che pur estraneo alla materia penale, incide profondamente sui diritti soggettivi dell’uomo tant’è che la prima la CEDU e poi la stessa Corte di Cassazione hanno operato un vero e proprio processo di giurisdizionalizzazione del procedimento, avvicinando sempre più il sistema di prevenzione a quello penale.
L’impressione è che la tesi della natura non penale delle misure di prevenzione costituisca una vera e propria àncora di salvataggio dell’intero sistema normativo, altrimenti non conciliabile con i principi e le garanzie espresse dalla Costituzione.
Prossimamente è attesa una decisione della CEDU su detto tema, vedremo la sorte del c.d. diritto di prevenzione.
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