
la questione irrisolta dell’art. 452 quaterdecies c.p. quale presupposto per l’adozione delle misure di prevenzione
31 Agosto 2022 | Uncategorized
Corte Costituzionale, sentenza nr. 118/2022 del 5.4.2022
Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «come richiamato dal secondo comma dell’art. 84» del medesimo d.lgs. n. 159 del 2011. La disposizione era censurata nella parte in cui, rinviando al catalogo di reati previsto dall’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, si riferisce al reato di «Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti» di cui all’art. 452-quaterdecies del codice penale, «anche nella sua forma non associativa»
I dubbi di legittimità costituzionale del rimettente si concentravano sul fatto che la disposizione censurata impone l’emissione della comunicazione antimafia interdittiva in caso di condanna definitiva, o confermata in appello, per il reato ricordato, anche laddove quest’ultimo non si manifesti in forma associativa.
Così disponendo, l’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011 violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost. sotto i profili della ragionevolezza e della proporzionalità rispetto allo scopo perseguito dal legislatore. Considerato, infatti, l’automatico effetto interdittivo della comunicazione antimafia in caso di condanna definitiva o confermata in appello per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, la disposizione non consentirebbe una valutazione in concreto «in merito alla sussistenza dei requisiti riguardanti la connessione con il fenomeno associativo criminale», posto che il carattere associativo e il collegamento con l’attività della criminalità organizzata non sarebbero elementi costitutivi del reato in questione.
La disposizione in esame mette sullo stesso piano due situazione assai diverse: da una parte, quella in cui sia stata definitivamente adottata, all’esito di uno specifico procedimento, una misura di prevenzione, così come quella in cui vi sia stata condanna, confermata in appello, per gravissimi reati espressivi di un’attività criminale organizzata; dall’altra, la situazione in cui vi sia stata una condanna confermata in appello per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., pur quando questo non si configuri «come reato-fine» dell’art. 416 cod. pen.
L’automatismo previsto dalla norma censurata avrebbe effetti altresì «sul sistema di sicurezza sociale di cui all’art. 38 della Costituzione», in conseguenza della inibizione, «nei rapporti tra i privati stessi», di qualsivoglia attività soggetta ad autorizzazione, licenza, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi, segnalazione certificata di inizio attività e disciplina del silenzio assenso.
Infine, risulterebbero lesi gli artt. 25 e 27 Cost., in quanto «il collocamento della condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., nella sua forma non associativa, tra i presupposti richiesti ai fini del rilascio della comunicazione interdittiva determinerebbe un irragionevole aggravio del trattamento sanzionatorio […], peraltro, non giustificato da un’adeguata motivazione da parte dell’Autorità prefettizia».
Anche le censure relative all’asserita violazione degli artt. 25 e 27 Cost. – richiamati congiuntamente, senza alcuna distinzione – risultano prive di adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza. In modo del tutto apodittico, l’ordinanza accenna alla circostanza che, nel caso di specie, la comunicazione interdittiva determinerebbe un «aggravio del trattamento sanzionatorio», ma non contiene alcuna analisi critica dell’ampia giurisprudenza amministrativa – del resto neppure menzionata (si veda, in particolare, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3) – che ha qualificato quelle derivanti dalla documentazione antimafia come misure di carattere anticipatorio cui conseguono forme di incapacità giuridica, prive di carattere sanzionatorio (nel senso della natura preventiva anche dello specifico strumento della comunicazione antimafia, ancora sentenza n. 178 del 2021 di questa Corte).
Stante la complessità e la delicatezza della materia, lo svolgimento di una qualche verifica sul punto risultava condizione indispensabile per l’accesso allo scrutinio di merito da parte di questa Corte. La sua completa assenza determina, pertanto, l’inammissibilità delle questioni (sentenze n. 197 del 2021 e n. 222 del 2019).
In sostanza, l’ordinanza di rimessione chiedeva alla Corte di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 67, comma 8, del d. lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui ricomprende il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. pure nella sua forma non associativa, anche quando, dunque, lo stesso delitto non concorra con il reato di associazione per delinquere.
In tal caso, la strategia d’attacco alla disposizione censurata ha l’obbiettivo di rimuovere dal novero dei reati richiamati da tale disposizione – ricompresi nell’elenco recato dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. – quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in quanto realizzato in forma non associativa.
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il proposto incidente di costituzionalità. Rilevava, infatti, che dall’eventuale sentenza di accoglimento fondata su un simile percorso argomentativo deriverebbe che, in virtù dell’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011, non sarebbe consentita l’emissione di una comunicazione antimafia interdittiva quando la condanna per il reato di traffico illecito di rifiuti, confermata almeno in appello, non contempli, appunto, anche il concorso con il reato di cui all’art. 416 cod. pen.
Secondo questa prima prospettiva, dunque, l’automatismo censurato nella disposizione oggetto delle questioni di legittimità costituzionale dovrebbe essere sostituito, per così dire, da un automatismo di segno opposto: il dato oggettivo sulla cui base stabilire se la comunicazione interdittiva vada emessa, o meno, sarebbe, infatti, la sentenza che pronuncia la condanna.
In questo caso, semmai, la condotta rientrante nell’art. 452-quatercedies cod. pen. potrebbe rilevare, sostiene il rimettente, quale “reato-spia” ai sensi della disciplina sulla informazione antimafia, e perciò concorrere a sostenere la valutazione del prefetto circa la sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa.
Da un secondo punto di vista, tuttavia, la stessa ordinanza di rimessione propone anche, sulla base di una ben diversa argomentazione, di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdeciescod. pen., debba essere valutata in concreto la sussistenza di elementi di connessione con il fenomeno associativo criminale.
Afferma, in particolare, l’ordinanza che, in tal caso, sarebbe infatti «necessaria» «un’ulteriore valutazione in concreto, non prevista dalla [disposizione censurata], in merito alla sussistenza dei requisiti riguardanti la connessione con il fenomeno associativo criminale». Significativamente, nella parte finale dell’ordinanza è richiamata la sentenza n. 24 del 2020 di questa Corte, che, pur in un ambito molto diverso, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede», anziché «può provvedere», alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale.
In modo sensibilmente diverso da quanto accadrebbe secondo la prima prospettiva, l’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011 dovrebbe dunque essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede, in caso di condanna per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, una valutazione in concreto circa l’effettiva connessione dei condannati con fenomeni criminali associativi.
In questa seconda prospettiva, la strategia d’attacco alla disposizione censurata non ha l’obbiettivo di rimuovere, di per sé, dai reati richiamati da tale disposizione – fra quelli ricompresi nell’elenco recato dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. – quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in quanto realizzato in forma non associativa. Non ha, in altri termini, l’obbiettivo di “sostituire” l’automatismo censurato con uno di segno opposto. Secondo la logica che ha mosso la sentenza n. 24 del 2020 della Corte, significativamente richiamata dal rimettente, essa ha invece lo scopo di introdurre, con riferimento allo specifico reato previsto all’art. 452-quaterdecies cod. pen. – ma secondo una logica “espansiva”, che ben potrebbe riguardare altri reati ricompresi dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. – il compimento di un’attività valutativa da esercitarsi sulla sentenza di condanna.
Di questa attività discrezionale, peraltro, non sono del tutto chiariti i presupposti e l’oggetto. La Corte ha rilevato di non comprendere se alla pubblica amministrazione sia sufficiente verificare (come avverrebbe in base al primo percorso argomentativo) la sussistenza di una condanna per il reato anche in forma associativa, alla luce delle oggettive risultanze giudiziarie. Oppure se, invece, sia richiesto all’autorità prefettizia l’esercizio di una attività discrezionale ancora più penetrante che, a prescindere dalle risultanze della sentenza, in caso di condanna per il reato in questione valuti comunque, in concreto, la sussistenza delle condizioni per emettere una comunicazione interdittiva.
Vero che, nell’ambito del suo complessivo iter argomentativo, più volte il rimettente richiama il diverso istituto dell’informazione antimafia e anche l’evenienza che, ai sensi dell’art. 89-bis cod. antimafia, a fronte di una richiesta di comunicazione antimafia il prefetto, accertati tentativi di infiltrazione mafiosa, emetta una informazione che tiene luogo della comunicazione. Ma non chiarisce se la discrezionalità, che ritiene necessario restituire all’autorità amministrativa per effetto di una declaratoria di illegittimità costituzionale, sia, per l’appunto, quella propria della disciplina dell’informazione antimafia o una “nuova” discrezionalità, da ricostruire nello specifico ambito della comunicazione antimafia.
L’ordinanza mantiene irrisolte e compresenti le due descritte, ben diverse, prospettive argomentative. Questa Corte, tuttavia, non può essere chiamata a scegliere tra di esse. Ne risulta, inevitabilmente, l’inammissibilità anche di questo gruppo di censure, per contraddittorietà e ambiguità della motivazione (sentenze n. 123 del 2021, n. 254 del 2020, n. 153 del 2020, n. 175 del 2018 e n. 247 del 2015; ordinanza n. 159 del 2021).