
diritto di prevenzione al bivio: corte cost. orientata alla pronuncia d’incostituzionalità artt. 1 e 4 l. c d.lgs. 159/2011
12 Ottobre 2018 | Corte Costituzionale, news
Attesa per la Camera di Consiglio del 21 novembre, data in cui la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla compatibilità del diritto di prevenzione italiano, ed in particolare sulle norme relative alle misure di prevenzione personali, con i principi CEDU.
Il sistema di prevenzione è quindi ancora sotto accusa in ragione alla sua inconciliabilità con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, e in particolare, in riferimento all’art. 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che sancisce la libertà di circolazione «non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altrui». In questo senso si era già espressa la Grande Camera con la significativa sentenza del 23 febbraio 2017 sul caso De Tommaso c. Italia (approfondimento qui).
La questione di legittimità in via incidentale, per violazione dell’art. 117 comma 1 della Costituzione, è stata sollevata dal Tribunale di Udine con l’ordinanza 115 del 10 aprile 2017 in accoglimento delle doglianze del difensore del proposto il quale, agendo con istanza di revoca della misura di prevenzione, personale adduceva la violazione dei principi CEDU comportante un’ingiusta restrizione delle libertà del cittadino, chiedendo «dichiararsi l’illegittimità della misura di prevenzione e immediata disapplicazione di essa a seguito della sentenza del 23 febbraio 2017 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo n. 43395/09, o in subordine sollevarsi questione di illegittimità costituzionale degli articoli 1, 3 e 5, legge n. 1423/156 oggi trasposti parzialmente negli articoli 1, 6 e 8, decreto legislativo n. 159/2011».
L’art. 117 della Costituzione prevede che la potestà legislativa statale venga esercitata nel rispetto della stessa e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, che derivano quindi anche dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. «Come statuito con sentenza della Corte costituzionale n. 349/2007, – precisa il Tribunale di Udine – le norme contenute in accordi internazionali, oggetto di legge di adattamento, derivando dallo stesso obbligo del legislatore ordinario di rispettare le norme poste dai trattati e dalle convenzioni internazionali, tra le quali rientra la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – CEDU – non hanno rango costituzionale. Alla convenzione CEDU deve riconoscersi peraltro una peculiare rilevanza per il suo contenuto e dunque la norma nazionale incompatibile con norma della CEDU o con gli obblighi internazionali di cui all’art. 117, comma 1 della Costituzione, viola per ciò stesso il parametro costituzionale, che realizza un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente che da’ vita e contenuto a quegli obblighi. Ne consegue che al giudice comune spetta di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dei testi delle norme; qualora ciò non sia possibile ovvero qualora si dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, il giudice deve proporre questione di legittimità costituzionale della norma interna per contrasto con l’art. 117 della Costituzione in relazione al contrasto con la norma convenzionale».
Per tali ragioni, dunque, il Tribunale dichiara rilevante per la definizione del giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale promossa dal difensore degli articoli 1, 3 e 5 della legge n. 1423/1956 nonché degli articoli 1, 4, comma 1, lettera c), 6 e 8 del decreto legislativo n. 159/2011 per contrasto con l’art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione alla violazione dell’art. 2 del protocollo n. 4 addizionale della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Il caso è inerente alle vicende giudiziarie di un cittadino italiano sottoposto a partire dal 2 dicembre 2008 a misura della prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per la durata di e anni. La misura venne eseguita solo parzialmente a seguito di successivi e vari periodi di esecuzione di pene concorrenti; alla data del 15 luglio 2015 residuavano ancora giorni 440. Il tribunale di Udine, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 2 dicembre 2013 e di istanza di revoca presentata dall’interessato, con decreto depositato il 20 giugno 2016 ha confermato la misura di prevenzione e disposto la sua applicazione per il periodo residuo. La Corte di appello di Trieste ha rigettato il ricorso proposto dal sottoposto avverso il decreto del Tribunale di Udine, con decreto di data 20 ottobre 2016, non impugnato e ha confermato la misura, attualmente in corso. L’interessato ha quindi chiesto la revoca e la verifica della legittimità Costituzionale alla luce dei vincoli sovranazionali.
Ci attendiamo una pronuncia di illegittimità costituzionale della Consulta, che riteniamo sia con le spalle al muro: c’è un deficit di tassatività della norma evidente, già censurato dalla CEDU, che compromette il principio di legalità di cui all’art. 7 della Convenzione.
Una siffatta pronuncia, secondo l’Avv. Baldassare Lauria dell’Osservatorio Misure di Prevenzione, metterebbe a rischio l’intero sistema di prevenzione italiano. Acquisirebbe, infatti, cittadinanza nel diritto di prevenzione il principio di legalità, e quindi l’obbligo del giudice ad una lettura delle norme quanto più tassativizzante, con effetti diretti sull’onere della prova, fino ad oggi principio assai tenue, quasi impalpabile. I provvedimenti di confisca, applicati sulla scorta della pericolosità generica, ancorchè definitivi potrebbero essere oggetto di richiesta di revocazione atteso il veni meno della base legale.
Ma, non sfugge come l’attesa declaratoria di illegittimità costituzionale produrrebbe effetti anche sul versante della c.d. “pericolosità sociale qualificata”, soprattutto in relazione alla categoria criminogena di cui alla lettera a) dell’art. 4, avente ad oggetto gli indiziati di appartenere alle associazioni mafiose, versante questo su cui la giurisprudenza dei Tribunali italiani si è, in passato, contraddistinta per l’eterogeneità delle pronunce.