cooperazione penale italia svizzera – confisca di prevenzione – procedimento di natura penale
28 Novembre 2021 | Diritto Contemporaneo, Giurisprudenza di Merito
Tribunale Penale Federale svizzero, sez. II, 21 gennaio 2011, Pres. Cova, ric. A.
Con la sentenza del 21 gennaio 2011, il Tribunale penale federale svizzero ha respinto il ricorso di A. – condannato in Italia in via non definitiva per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e usura – contro la decisione delle competenti autorità elvetiche di accogliere la domanda di assistenza giudiziaria presentata dalla Procura di Milano nell’ambito del procedimento di prevenzione a carico dello stesso ricorrente (indiziato di appartenere alla ‘ndrangheta). Il procedimento si era concluso con pronuncia definitiva della Cassazione italiana del 15 dicembre 2009, e la rogatoria milanese era finalizzata in particolare ad ottenere, a fini di confisca “di prevenzione”, informazioni e documentazione sui conti bancari del prevenuto individuati in territorio svizzero.
Richiamate brevemente le fonti normative nazionali e internazionali che regolano la materia dell’assistenza giudiziaria in materia penale tra Svizzera e Italia, sia in generale (Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, Accordo italo-svizzero del 10 settembre 1998, nonché, a partire dal 12 dicembre 2008, artt. 48 e ss. della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985), che in particolare in materia di confisca (Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato dell’8 novembre 1990), i giudici svizzeri analizzano e respingono uno ad uno tutti i motivi di ricorso, concludendo nel senso dell’accoglimento della rogatoria.
Il cuore della sentenza è rappresentato infatti dalla trattazione del problema – dirimente ai fini della concessione del’assistenza richiesta – della natura giuridica del procedimento e della confisca di prevenzioneprevisti dall’ordinamento italiano. Il ricorrente, infatti, avanzava dubbi sulla natura giuridica penale della confisca e quindi sulla possibilità per le autorità italiane di utilizzare gli strumenti dell’assistenza giudiziaria in materia penale al fine di ottenere la confisca dei suoi beni situati all’estero.
Il Tribunale penale federale svizzero è stato però di diverso avviso. Premesso che la cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale può essere richiesta e concessa quando un procedimento penale sia stato aperto nello Stato richiedente, e al fine di agevolare il perseguimento di reati da parte dell’autorità giudiziaria straniera, i giudici elvetici richiamano anzitutto la giurisprudenza svizzera secondo cui tale cooperazione può essere concessa (come avvenuto in passato) anche nell’ambito di procedimenti preliminari, eventualmente di natura amministrativa, preordinati all’apertura di un procedimento penale o al rinvio a giudizio, ovvero collegati comunque a un procedimento penale. Sarebbero invece inammissibili solo le domande di assistenza giudiziaria formulate nell’ambito di procedure puramente civili o amministrative.
Dopodiché, adottando quella che la Corte europea dei diritti dell’uomo definirebbe “interpretazione autonoma” della materia penale, il tribunale svizzero afferma di non ritenere dirimente la qualificazione giuridica data in diritto italiano al procedimento di prevenzione, e di dover procedere invece ad una indagine sulla sua natura giuridica alla luce del diritto svizzero.
In quest’ottica, una volta analizzati accuratamente il procedimento di prevenzione italiano e i suoi rapporti col processo penale ordinario (attraverso l’ampio richiamo a fonti dottrinali e giurisprudenziali italiane , il Tribunale penale federale si sofferma innanzitutto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, evidenziando come possa ritenersi ormai consolidato l’orientamento incline a considerare il procedimento di prevenzione patrimoniale italiano di per sé non in contrasto con la Cedu (analogamente del resto a quanto affermato dalla stessa Corte in merito alle analoghe forme di confisca “allargata” previste nel Regno Unito). In particolare, sebbene la confisca di prevenzione limiti certamente il diritto di ognuno al rispetto dei propri beni (articolo 1, Protocollo 1, Cedu), secondo i giudici di Strasburgo essa costituirebbe infatti un’interferenza legittima (in quanto finalizzata all’interesse generale di prevenire l’utilizzo illecito e pericoloso di beni di dubbia origine lecita) e proporzionata rispetto allo scopo di contrastare il potere economico delle organizzazioni criminali; inoltre, essa non contrasterebbe con il diritto ad un equo processo e con il diritto di difesa (art. 6 Cedu), e ciò perché, da un lato, è pur sempre il pubblico ministero a dover fornire gli indizi posti a fondamento della misura, senza alcuna inversione dell’onere probatorio, e, dall’altro, rimangono comunque garantiti il contraddittorio e tre gradi di giudizio.
I giudici svizzeri passano poi ad esaminare la confisca nel diritto svizzero, rilevando come essa costituisca uno strumento in rem con caratteri simili a quelli che essa presenta nel diritto italiano: applicabile, quindi, anche quando l’autore del reato non è perseguibile o punibile per vari motivi, sulla base della semplice esistenza di un reato e di un legame causale tra questo e i beni da confiscare, senza che si richieda un’indagine penale sulla specifica colpevolezza del presunto autore. Coerentemente, l’applicazione della confisca può avvenire nel quadro di un processo penale, attraverso la sentenza che lo conclude; ma anche all’esito di un procedimento autonomo rispetto a quello penale, che non condivide con quest’ultimo né svolgimento né esiti.
Quanto, più specificamente, alla possibilità di concedere assistenza giudiziaria, il tribunale rileva che, date le differenze tra le varie legislazioni nazionali in materia di confisca e di procedure per la sua applicazione, ogni procedimento nazionale che possa sfociare in un provvedimento di confisca, indipendentemente dai suoi legami con un procedimento penale, può legittimamente costituire premessa per una richiesta di assistenza giudiziaria. Ciò che conta, ai fini di una qualificazione sostanzialmente “penale” della misura e della sua conseguente riconducibilità all’ambito di applicazione delle norme sull’assistenza giudiziaria in materia penale, è che la confisca sia adottata da un’autorità giudiziaria e che riguardi il prodotto (o lo strumento) di un reato.
In definitiva, il procedimento di prevenzione patrimoniale italiano presenterebbe un sufficiente grado di affinitàcon le procedure di confisca previste o riconosciute dal diritto svizzero, poiché presuppone sia la realizzazione di un reato (senza che si richieda però una specifica attribuzione di responsabilità penale all’interessato) sia un legame tra il reato e l’oggetto della confisca: può essere assimilata dunque ad una “causa penale” ai fini della concessione da parte delle autorità elvetiche della richiesta assistenza giudiziaria.